Competenze Manageriali per il trasferimento scientifico e tecnologico nella Manifattura Avanzata

1 Competenze Manageriali per il trasferimento scientifico e tecnologico nella Manifattura Avanzata ANALISI COMPETENZE MANAGERIALI MODELLO FORMATIVO

2 Competenze Manageriali per il trasferimento scientifico e tecnologico nella Manifattura Avanzata Codice Progetto: IS_11_2024 (CIG B31D6828FE) Ricerca finanziata da Fondirigenti e realizzata da Confindustria Veneto SIAV, con la collaborazione del Prof. Salvatore Garbellano, promossa da Confindustria Veneto e Federmanager Veneto.

3 La ricerca, promossa da Confindustria Veneto e Federmanager Veneto, finanziata da Fondirigenti e realizzata da Confindustria Veneto SIAV analizza le competenze manageriali emergenti fondamentali per il trasferimento scientifico e tecnologico nella manifattura avanzata veneta. L’obiettivo è sviluppare un modello formativo efficace per supportare le imprese ed i manager nella gestione delle relazioni negli ecosistemi dell’innovazione. Il Veneto, pur avendo un’elevata complessità economica e capacità di diversificazione produttiva, presenta sfide significative legate alla dimensione ridotta delle imprese e agli investimenti limitati in R&S (1,4%). Questo condiziona il modello di export, ancora concentrato su prodotti tradizionali, nonostante la presenza di settori tecnologicamente avanzati. A livello europeo e nazionale, si osserva un divario tra gli investimenti in innovazione e commercializzazione e una frammentazione dei finanziamenti, rendendo cruciale lo sviluppo di competenze strategiche manageriali. La ricerca evidenzia il ruolo chiave delle collaborazioni tra Università e Imprese (UIC), spesso ostacolate da problemi di allineamento. L’emergere di nuovi ecosistemi e cluster, supportati dalle politiche regionali, sta contribuendo a favorire il trasferimento tecnologico con un aumento della presenza di spin-off universitari. Tuttavia, il successo dell’innovazione dipende dalle capacità manageriali di intercettare traiettorie tecnologiche, creare relazioni strategiche e gestire talenti altamente qualificati. È stato definito un modello di competenze “emergenti” tramite l’analisi di “Storie Manageriali” e un Laboratorio di validazione. Le aree chiave emerse sono: traiettorie future, assetti organizzativi per l’assorbimento della conoscenza, creazione e gestione di relazioni negli ecosistemi, gestione intergenerazionale/valorizzazione del talento. Il campione include manager di Competence Center, Spin-Off/Start-Up e Imprese manifatturiere. È emersa la ricchezza dei percorsi professionali e la necessità di allineare profili diversi verso obiettivi comuni. Ruoli come Innovation Manager, CTO, Responsabile R&S, Digital Innovation Manager sono in rapida crescita e richiedono una visione sistemica e di processo “end to end”. Si osserva una tendenza verso manager “neo generalisti” con capacità di pensiero sistemico e contestualizzato: la sfida è integrare capacità digitali e industriali. Il modello formativo emerso è finalizzato a preparare i manager nella gestione di cambiamenti inaspettati (“curve ball”). È un “allenamento continuo” che sviluppa mentalità e capacità di azione, integrando etica, conoscenza di sé e competenze tecniche. Il pensiero sistemico è un “filo rosso” rilevante, così come la capacità di creare nuove relazioni per acquisire vantaggi competitivi. La gestione della complessità richiede nuovi valori, competenze e metodologie. Le metodologie di apprendimento devono riflettere la centralità delle relazioni. Si propone una pluralità dei luoghi di formazione, includendo, oltre alle business school, anche aziende e organizzazioni di eccellenza. La docenza integrata da imprenditori e manager con esperienze dirette è vista come valore aggiunto per motivare e favorire networking. Il modello enfatizza il “future thinking”, il “system thinking” e l’integrazione tra intuizione imprenditoriale e competenze manageriali. Le competenze trasformazionali identificate includono gestione del rischio, strategie flessibili e metodologie agili. Inoltre, le “soft skills trasformazionali”, come leadership, gestione di sé e relazioni territoriali, risultano cruciali per affrontare l’incertezza. Infine, il modello formativo suggerisce un approccio innovativo, che integra business school, esperienze aziendali e insegnamento basato su casi reali. La formazione deve preparare i manager a gestire il cambiamento continuo attraverso un “allenamento sistemico”, costruendo una mentalità capace di generare valore e vantaggio competitivo nel contesto complesso dell’innovazione industriale. EXECUTIVE SUMMARY

4 INDICE ANALISI INTRODUZIONE 1.1. Contesto e Innovazione collaborativa 1.1.1. Competitività, innovazione e competenze 1.1.2. Cambiamenti geopolitici e nuove catene globali del valore della manifattura avanzata 1.1.3. L’economia veneta: dal potenziale allo sviluppo 1.1.4. Le imprese venete: la questione dimensionale, la produttività ed i contenuti tecnologici 1.1.5. Il trasferimento della conoscenza per l’innovazione: flussi e relazioni tra i principali player 1.1.6. Scenari della domanda e dell’offerta di conoscenza per l’innovazione: gli ecosistemi dell’innovazione 1.2. Ruoli Manageriali negli ecosistemi dell’innovazione 1.2.1 Le nuove responsabilità manageriali: gestire gli spazi relazionali negli ecosistemi 1.2.2 Università: la Terza Missione per creare nuove relazioni con le imprese 1.2.3 Creare relazioni per innovare nelle aziende, nei territori e negli ecosistemi 1.2.4 Formazione, manager, autostrade e piattaforme: le relazioni che facilitano la diffusione della conoscenza negli ecosistemi 1.2.5 I manager: connettori tra le generazioni nelle imprese e negli ecosistemi 1.2.6 Un metodo di lavoro per sperimentare nei settori a manifattura avanzata: l’approccio scientifico COMPETENZE MANAGERIALI EMERGENTI INTRODUZIONE 2.1 Storie Manageriali 2.1.1 Criteri di selezione: il campione 2.1.2 Analisi Trasversale delle 15 Storie Manageriali 2.2 Un Modello delle competenze manageriali emergenti 2.2.1 Manager: generalisti o specialisti? 2.2.2 Cicli tecnologici e competenze: verso una nuova rilevanza delle competenze di processo/prodotto? 2.2.3 Modelli di business & competenze 2.2.4 Il modello emergente: le competenze trasformazionali 2.2.4.1 I quattro ruoli manageriali emergenti: le competenze trasformazionali 2.2.4.2 Le competenze trasformazionali trasversali 9 11 11 17 19 23 25 31 36 38 42 47 52 54 57 61 62 62 64 67 67 69 71 75 77 80

5 2.3 Il Laboratorio Manageriale 2.3.1 La promozione e l’organizzazione del Laboratorio 2.3.2 La partecipazione 2.3.3 I contenuti e la metodologia 2.3.4 I risultati MODELLO FORMATIVO 3.1 Modello 3.1.1 Il modello formativo emergente 3.2 Metodologie 3.2.1 Metodologie di formazione per i manager delle imprese a manifattura avanzata: per un apprendimento trasformativo 3.3 Contenuti e Modalità di erogazione 3.3.1 Il programma di formazione: i moduli BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA 82 82 82 84 85 91 91 94 94 96 96 102

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7 ANALISI

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9 INTRODUZIONE Il Veneto, come si evince dall’Observatory of Economic Complextity (http://oec.world) è tra le Regioni Italiane, insieme a Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna un territorio ad elevato grado di “Complessità economica”, per la misurazione della quale il fattore esportativo è uno degli indicatori più rilevanti in quanto derivante dalla capacità di “diversificazione”. La capacità di diversificazione è associata al grado di sofisticazione dei processi produttivi adottati dalle stesse aziende di un territorio, dal livello di occupazione settoriale, dal valore aggiunto prodotto e dai brevetti posseduti. Tra i fattori che possono contribuire al mantenimento ed innalzamento del livello di sofisticazione produttiva di un territorio viene evidenziata la varietà di conoscenze e competenze locali, necessarie per innescare processi ricombinatori delle tecnologie. Questo può avvenire non solo in riferimento alle singole imprese, ma anche ai sistemi distrettuali i quali, per la loro specializzazione e configurazione, possono favorire la diffusione mediante spillover tecnologici in grado di favorire processi di varietà correlata (related variety) e non correlata (unrelated varierty) tra settori e attività. Atro fattore è dato dalla qualità delle istituzioni locali, formali (capacità di governance, rappresentanza) e informali (fiducia, capitale sociale), elementi che contribuiscono ad attrarre o trattenere lavoratori con competenze elevate e a remunerarli in maniera adeguata ai loro livelli di produttività. Per supportare l’identificazione delle aziende più innovative del Nord-est, connesse anche alle Smart Specialisation, un gruppo di ricerca ha definito i criteri attraverso i quali si possa dimostrare il loro livello di innovazione comprendendo tra i fattori più significativi le attività di Ricerca, Sviluppo, Testing, Learning by doing o importing e il conseguente rapporto con gli “esiti dell’innovazione” in ottica di open innovation. A livello Regionale la creazione delle Reti di Innovazione rappresenta già un esempio positivo di “ecosistemi di open innovation” in cui si contempla contemporaneamente la presenza delle imprese, prevalentemente Manifatturiere, le Università ed i Centri di Ricerca.1 Le sperimentazioni collaborative in questi “ecosistemi” sono estremamente significative in quanto, data la dimensione media delle imprese, il rapporto con la ricerca scientifica ed il trasferimento tecnologico è sempre stato uno dei punti di “criticità” del sistema manifatturiero veneto. Elemento di facilitazione della relazione con la ricerca scientifica ed il trasferimento tecnologico è la collaborazione con SpinOff e StartUp composte da risorse umane ad elevate competenze tecnico-scientifiche e con un approccio di analisi, “ponte tra l’Accademia e l’Impresa”. A fronte di queste evoluzioni il rinforzo del “fattore manageriale” è fattore critico di successo per portare “a sistema” gli elementi di successo che stanno maturando nei nuovi ecosistemi “collaborativi”, ma anche per un nuovo approccio all’innovazione valido per tutta la manifattura. Nei nuovi business emergenti stanno infatti cambiando i fondamenti della competitività: si sta passando dalla conoscenza specializzata in un solo o pochi domini alla capacità di creare, ibridare e gestire conoscenze diversificate e multidisciplinari in modo continuo, ad una velocità che riesca, almeno in parte a seguire l’evoluzione scientifica e tecnologica. Le nuove opportunità di business nascono infatti dall’intersezione tra mondi, culture e tecnologie che sembrano distanti, ma quando imprenditori e manager con il supporto della ricerca riescono a trovare convergenze, spesso creano nuove soluzioni. È una modalità di fare innovazione che ha ad oggetto anche il modo di utilizzo delle risorse naturali: dallo sfruttamento ad approcci circolari e generativi. 1 InnovatiVE, Portale dell’Innovazione Innoveneto (http://innoveneto.org).

10 Attività di ricerca e industrializzazione non sono più fasi nettamente distinte e separate nel tempo. Ma si sovrappongono e si integrano tra loro. Quando si introduce innovazione che deriva dalla ricerca è necessario che il management riesca a rapportarsi con tutte le funzioni aziendali per rendere efficace ed efficiente il risultato e l’implementazione in termini complessivi di business, le relazioni interne quindi devono essere gestite con una comunicazione efficace e collaborativa. Mettere a disposizione la ricerca teorica a supporto e al servizio delle imprese richiede quindi un insieme di fattori organizzativi, gestionali e qualità del capitale umano senza i quali i processi di collaborazione e trasferimento tecnologici e di nuova conoscenza avrebbero una scarsa probabilità di successo. Le imprese che si sono mostrate preparate a far fronte ai nuovi contesti sono quelle che per prime hanno compreso la necessità di individuare e intercettare le traiettorie tecnologiche al fine di soddisfare bisogni emergenti e creare nuove customer experience. Oggi, la sfida per le imprese è quella di rafforzarsi e accrescere il know how al loro interno e, allo stesso tempo, partecipare e talvolta costruire un ampio sistema in grado di fornire un continuo supporto ai processi di innovazione, trasferimento e condivisione di idee, opportunità e conoscenze. Inoltre, i processi di crescita per linee interne ed esterne, le nuove forme di internazionalizzazione, la gestione dei processi intergenerazionali richiedono al management un nuovo insieme di competenze, qualità e capacità personali e comportamenti per guidare e gestire le imprese. È un insieme di competenze “nuove” in quanto sono cambiate le relazioni con gli imprenditori, i colleghi e i collaboratori, allo stesso tempo, con l’intero sistema degli stakeholder: tutti interessati da profondi e ampi processi di cambiamento e di rinnovamento di responsabilità e ruoli. Inoltre, le innovazioni possono mettere a terra il loro potenziale di crescita sui territori quando start-up, spin off di origine accademica, istituzioni pubbliche e imprese operano in una logica di sistema. Questa collaborazione è necessaria per superare ostacoli, perseguire opportunità e accelerare i tempi per scalare la messa a valore dei business innovativi. La partecipazione delle imprese alla ricerca e quella dell’accademia allo sviluppo industriale suggeriscono applicazioni che difficilmente sarebbero immaginabili se ciascuno dei due mondi operasse in modo autonomo, con pochi e isolati contatti reciproci. Nei casi di successo, accademia e imprese lavorano insieme su basi scientifiche: mettono in comune esperienze e punti di vista differenti per accelerare l’individuazione delle soluzioni operative. In questo contesto, l’obiettivo prioritario della ricerca nel suo complesso è stato quello di ricostruire il sistema di competenze del nuovo ruolo dei manager all’interno delle imprese e negli ecosistemi aperti dell’innovazione quale passaggio rilevante per rendere la formazione più coerente ai nuovi contesti e soprattutto ad elevare la qualità dell’impatto sulle persone, organizzazioni e territori. La prima parte della ricerca è quindi dedicata a far emergere i fattori critici sia in termini quantitativi che qualitativi della competitività regionale basata sull’innovazione e la necessità di adeguamento delle competenze manageriali in termini di upgrading nella gestione delle relazionalità complesse. La prima parte di “Analisi” della ricerca e la successiva raccolta di 15 “Storie Manageriali” sono state funzionali alla progettazione e realizzazione di un “Laboratorio Manageriale” attraverso il quale è stato condiviso e validato il set di competenze emerse e prodotte delle indicazioni sulle esigenze formative innovative e nuove metodiche, contemplando anche la condivisione con gli altri attori degli ecosistemi dell’innovazione.

11 Questa prima parte della ricerca intende introdurre quelli che sono i principali indirizzi europei, nazionali e regionali per stimolare un più alto e qualificato livello di innovazione nelle imprese evidenziando anche alcune azioni e misure su cui focalizzarsi ed il ruolo che il management aziendale può agire all’interno di questa interazione. Tra le azioni che emergono nella relazione università-impresa è evidente la necessità di una migliore sintonizzazione tra la creazione della conoscenza scientifica e tecnologica e la capacità di trasferimento affinché questa diventi volano di innovazione nelle imprese per il recupero di un evidente gap europeo nei confronti di USA, China e altri Paesi emergenti. Vengono quindi evidenziati i fattori critici, ma anche le potenzialità delle collaborazioni Università-Imprese e indicazioni su variabili metodologiche per il trasferimento tecnologico e di conoscenza, ma soprattutto l’emergere di nuove configurazioni di eco-sistemi dell’innovazione tra i quali i parchi tecnologici da un lato e cluster di imprese dall’altro che, stimolati anche da politiche europee e regionali, stanno agendo in questa direzione. Cruciale il ruolo imprenditoriale e manageriale nel saper identificare i contenuti, stabilire le relazioni ma anche i metodi per avviare e portare a risultato collaborazioni fruttuose. La seconda parte quindi è dedicata a declinare quelli che sono i ruoli manageriali negli ecosistemi dell’innovazione, partendo anche dalle nuove responsabilità per gestire i nuovi spazi relazionali, i rapporti con l’università e la capacità di muoversi e utilizzare le nuove “autostrade e piattaforme” per i percorsi della diffusione della conoscenza e innovazione negli ecosistemi stessi. Non secondaria la rilevanza del ruolo agito dai manager quali connettori tra le generazioni nelle aziende e nei processi di innovazione. 1.1.1. Competitività, innovazione e competenze La necessità di accrescere la capacità di innovazione a livello europeo e quindi a livello nazionale e regionale è stata ampiamente argomentata e ribadita nel recente report di Mario Draghi sulla “competitività europea”.2 Tre sono le aree su cui l’Europa deve agire per rilanciare una crescita insufficiente rispetto ai maggiori player: l’innovazione, la decarbonizzazione e l’indipendenza strategica sulle materie prime e sulle tecnologie avanzate. Per quanto riguarda l’innovazione si afferma che “l’Europa deve riorientare profondamente i propri sforzi collettivi per colmare il divario di innovazione con gli Stati Uniti e la Cina, soprattutto nelle tecnologie avanzate. L’Europa deve sbloccare il proprio potenziale innovativo per non rimanere indietro, in particolare rispetto alla “rivoluzione” dell’intelligenza artificiale, specificando che una parte centrale del programma sarà di fornire agli europei le competenze di cui hanno bisogno per trarre vantaggio dalle nuove tecnologie, in modo che tecnologia e inclusione sociale vadano di pari passo. Il rapporto sottolinea che l’Europa dovrebbe puntare a eguagliare gli Stati Uniti in termini di innovazione e poterli superare nell’offrire opportunità di istruzione e apprendimento per gli adulti, nonché sui buoni posti di lavoro per tutti lungo tutto l’arco della loro vita. Più in dettaglio nel rapporto vengono delineate le principali barriere all’innovazione in Europa. “Alla base della debolezza dell’Europa nel settore delle tecnologie digitali c’è una struttura industriale statica che produce un circolo vizioso di bassi investimenti e bassa innovazione. Contesto e Innovazione collaborativa 2 Draghi M. (2024), The future of European competitiveness, Part A I A competitiveness strategy for Europe, September, European Commission.

12 Negli ultimi due decenni, le prime tre aziende statunitensi che hanno speso in ricerca e innovazione (R&I) sono passate dall’industria automobilistica e farmaceutica negli anni 2000, alle aziende di software e hardware negli anni 2010 e poi al settore digitale negli anni 2020. Al contrario, la struttura industriale dell’Europa è rimasta statica, con le aziende automobilistiche che dominano costantemente i primi 3 settori di spesa per la R&I. In altre parole, l’economia statunitense ha alimentato nuove tecnologie innovative e gli investimenti l’hanno seguita, riorientando le risorse verso i settori ad alto potenziale di crescita della produttività; in Europa gli investimenti sono rimasti concentrati su tecnologie mature e in settori in cui i tassi di crescita della produttività delle aziende di frontiera stanno rallentando. Nel 2021 le imprese dell’UE hanno speso in R&I, in percentuale del PIL, circa la metà delle imprese statunitensi (circa 270 miliardi di euro), un divario determinato da tassi di investimento molto più elevati nel settore tecnologico statunitense. Questo divario nell’innovazione si traduce anche in un divario negli investimenti produttivi complessivi tra le due economie, determinato principalmente da minori investimenti in beni materiali TIC e in software, database e proprietà intellettuale. Il conseguente ciclo di scarso dinamismo industriale, bassa innovazione, bassi investimenti e bassa crescita della produttività in Europa è stato definito “la trappola della tecnologia di mezzo”.3 3 Ibidem, pag. 20. La mancanza di dinamismo industriale in Europa è dovuta in gran parte a debolezze lungo il “ciclo di vita dell’innovazione” che impediscono l’emergere di nuovi e sfidanti settori. Queste debolezze iniziano con l’ostacolo del passaggio dall’innovazione alla commercializzazione. Il sostegno del settore pubblico alla R&I è inefficiente a causa della scarsa attenzione all’innovazione dirompente e della frammentazione dei finanziamenti, che limitano il potenziale dell’UE di raggiungere la scala delle tecnologie innovative ad alto rischio. Una volta che le aziende raggiungono la fase di crescita, incontrano ostacoli normativi e giurisdizionali che impediscono loro di diventare aziende mature e redditizie in Europa. Di conseguenza, molte aziende innovative finiscono per cercare finanziamenti da parte di venture capitalist (VSc) statunitensi e vedono l’espansione nel grande mercato americano come un’opzione più remunerativa rispetto all’affrontare i mercati frammentati dell’UE. Infine, l’UE è in ritardo nel fornire le infrastrutture all’avanguardia necessarie per l’economia. Productive investment Real gross fixed capital formation excluding residential investment, % of GDP Fonte: EIB, 2024

13 Sul divario tra economia USA e Europa anche Eugenio Occorsio scrive che “Gli investimenti in ricerca e sviluppo in Europa sono un quinto di quelli in America e la metà della Cina. E sull’intelligenza artificiale gli investimenti negli USA sono 50 volte quelli europei. Risultato è l’ormai incolmabile perdita di supremazia nei settori più vitali e da quei comparti da cui può uscire più ricchezza, produzione, crescita in Europa. Sommando poi le croniche carenze in R&S, la situazione si complica e tende ad avvitarsi. “La carenza di opportunità nell’industria, dove si “annida” la crescita della produttività, fa sì che i giovani finiscano con l’accettare impieghi nei servizi spesso inferiori alle loro capacità” scrive Innocenzo Cipolletta. Sta di fatto che fra le prime mille aziende classificate per R&S, solo 44 sono in Italia con un investimento di 7,5 miliardi. In Francia le aziende sono 147 con 33,4 miliardi investiti in ricerca e sviluppo, in Germania 291 con 106,6 miliardi. Sono dati tratti dall’Investment Scoreboard 2023 dell’UE e parlano da soli.”4 Sempre nel rapporto “Draghi” si evidenza inoltre come “non ci siano abbastanza istituzioni accademiche che raggiungono i massimi livelli di eccellenza e inoltre il passaggio dall’innovazione alla commercializzazione è debole. Le università e gli altri istituti di ricerca sono attori centrali dell’innovazione nelle fasi iniziali, generano ricerca innovativa e producono nuovi profili di competenze per la forza lavoro. L’Europa detiene una posizione forte nella ricerca di base e nella brevettazione: nel 2021, ha rappresentato il 17% delle domande di brevetto a livello mondiale, contro il 21% degli Stati Uniti e il 25% della Cina. Tuttavia, sebbene l’UE vanti un sistema universitario mediamente forte, un numero insufficiente di università e istituti di ricerca è ai vertici ed inoltre gran parte della conoscenza generata dai ricercatori europei rimane non sfruttata commercialmente. Secondo l’Ufficio europeo dei brevetti, solo un terzo delle invenzioni brevettate dalle università e dagli istituti di ricerca europei viene sfruttato commercialmente. Una delle ragioni principali di questo fallimento è che i ricercatori europei sono meno integrati nei “cluster” dell’innovazione - reti di università, start-up, grandi aziende e venture capitalist - che rappresentano un’ampia quota di successi commerciali nei settori ad alta tecnologia. Tali cluster sono stati fondamentali per la struttura industriale più dinamica che si osserva negli Stati Uniti. L’Europa non ha alcun “cluster” di innovazione tra i primi 10 a livello globale, mentre gli Stati Uniti ne hanno 4 e la Cina 3.5 L’Europa soffre inoltre di carenze di competenze in tutta l’economia, rafforzate dal calo della forza lavoro. L’economia europea soffre di persistenti carenze di competenze in diversi settori e occupazioni, sia per i lavoratori poco qualificati che per quelli altamente qualificati. Circa un quarto delle aziende europee ha incontrato difficoltà nel trovare dipendenti con le giuste competenze, mentre un altro quarto riferisce di avere qualche difficoltà. Il 77% delle aziende europee riferisce che anche i dipendenti appena assunti non hanno le competenze richieste. Le competenze mancano anche a livello manageriale. L’adozione disomogenea di pratiche manageriali di base - soprattutto quelle necessarie per gestire il capitale umano - è probabilmente responsabile della lenta adozione delle TIC nell’UE alla fine degli anni ‘90 e negli anni 2000, soprattutto tra le micro e le piccole imprese. Sebbene le sfide legate alla carenza di competenze siano diffuse in tutte le economie avanzate, la necessità di affrontarle è particolarmente sentita nell’UE. I venti demografici comportano una contrazione della forza lavoro in Europa, mentre si prevede che la popolazione statunitense si espanderà nei prossimi decenni. In questo contesto, è essenziale una strategia europea per affrontare le carenze di competenze, incentrata su tutti gli stadi dell’istruzione. Molte delle carenze di competenze possono essere ricondotte al sottoutilizzo dei talenti esistenti, come testimonia anche il profondo divario di genere in alcune professioni.6 4 Occorsio E., 2024, “Usa-Europa, si allarga il gap sulle tecnologie”, Repubblica-Affari&Finanza, 11 marzo, pag. 7. 5 Draghi M., The future of European competitiveness, op.cit. pag. 21. 6 Ibidem, pag. 28, vedi anche Paolazzi L., Toschi G., (2024), “L’impresa che verrà, come vincere le sette sfide in corso”, Nord Est, Marsilio, Venezia, ed in particolare Sfida 1, Invecchiamento della popolazione, pagg. 21-46 e Sfida 2, Giovani e attrattività, pagg. 47-72.

14 La carenza di competenze costituisce una barriera all’innovazione e all’adozione di tecnologie e potrebbe potenzialmente ostacolare anche la decarbonizzazione. L’Europa produce talenti di alta qualità nel campo della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica (STEM), ma la loro offerta è limitata. L’UE sforna circa 850 laureati STEM per milione di abitanti all’anno, rispetto agli oltre 1.100 degli Stati Uniti. Inoltre, il bacino di talenti dell’UE si sta esaurendo a causa della fuga di cervelli all’estero, a causa di maggiori indirizzi e migliori opportunità di lavoro altrove. Mancano anche le competenze per diffondere più velocemente le tecnologie digitali nell’economia e per consentire ai lavoratori di adattarsi ai cambiamenti che le tecnologie porteranno. Quasi il 60% delle imprese dell’UE dichiara che la mancanza di competenze è un ostacolo importante agli investimenti e una percentuale analoga riferisce di avere difficoltà a reclutare specialisti delle TIC. Allo stesso tempo, i lavoratori europei sono generalmente impreparati a trarre vantaggio dalla diffusa digitalizzazione del lavoro: circa il 42% degli europei non ha competenze digitali di base, compreso il 37% dei lavoratori. La decarbonizzazione richiederà anche nuove competenze e profili professionali. Il tasso di posti di lavoro vacanti nella produzione di tecnologie pulite nell’UE è raddoppiato tra il 2019 e il 2023, con il 25% delle aziende dell’UE che ha segnalato carenze di manodopera nel terzo trimestre del 2023. La carenza di lavoratori altamente qualificati è destinata ad aggravarsi nel tempo. Le proiezioni per il 2035 indicano che la carenza di manodopera sarà più pronunciata nelle occupazioni non manuali e altamente qualificate - cioè quelle che richiedono un alto livello di istruzione - a causa della necessità di sostituzione dovuta ai pensionamenti e al cambiamento delle richieste del mercato del lavoro.7 Una precisa fotografia del Nord Est sugli investimenti in conoscenza e formazione dei giovani ed il grande problema della “fuga dei talenti” da questi territori è stata prodotta dalla Fondazione Nord-Est sia nel Rapporto 20248 che in una Newletter dedicata al tema-problema. “Nel 2022, il 43,1% dei giovani che ha lasciato l’Italia aveva un titolo terziario (aumenta fino 49,2 per il Veneto). La nuova ondata migratoria dei giovani italiani, iniziata nel 2011, si sta infatti sempre più caratterizzando come uscita di laureati. 7 Ibidem, pag. 28. 8 Paolazzi L., Toschi G., (2024), “L’impresa che verrà”, op. cit. ; FNE Newletter (2024), “Nota preparata da Di Lenna L. e Paolazzi L”., n. 3-23, set. Skills shortages in the EU Job vacancy rate (% of total posts) Fonte: Eurostat

15 Se fino al 2018 la loro quota era inferiore al 30%, dal 2019 è iniziata a salire fino a superare di slancio il 43% nel 2022. L’emorragia dei giovani laureati è particolarmente intensa dalle regioni settentrionali, dove pure le occasioni di impiego dovrebbero essere maggiori, data la più elevata concentrazione di imprese manifatturiere e di servizi basati sulla conoscenza, ma il tessuto produttivo non sa valorizzarli come accade negli altri paesi europei avanzati. Nella media del biennio 2021-22, il valore annuo del capitale umano uscito con i giovani dall’Italia ammonta a 8,4 miliardi: al primo posto la Lombardia, con un deflusso annuale che si colloca a 1,4 miliardi e al secondo il Veneto con 0,9 miliardi, poi la Sicilia e la Campania (0,8), il Piemonte (0,7) e l’Emilia Romagna. I dati della Nota fanno comprendere come nella caccia globale ai giovani talenti l’Italia sia preda nel fornire talenti al resto del Mondo.”9 “Questa scomoda posizione fa rimanere il Paese e le diverse Regioni italiane indietro nella competizione dell’economia della conoscenza. Più in generale, come sottolinea il Rapporto Draghi, “la competitività oggi si gioca meno sul costo relativo al lavoro e più sulla conoscenza e le competenze racchiuse nella forza lavoro”.10 L’UE quindi – si legge ancora nel Rapporto Draghi - dovrebbe rivedere il suo approccio alle competenze, rendendolo più strategico, orientato al futuro e focalizzato sulla carenza di competenze emergenti. Il rapporto raccomanda che, in primo luogo, l’UE e gli Stati membri migliorino l’uso dell’intelligence sulle competenze, facendo un uso molto più intenso dei dati per comprendere e agire sulle carenze di competenze esistenti. In secondo luogo, i sistemi di istruzione e formazione devono diventare più reattivi alle mutevoli esigenze di competenze e alle carenze di competenze individuate dalla skills intelligence. I programmi di studio devono essere rivisti di conseguenza, coinvolgendo anche i datori di lavoro e le altre parti interessate. In terzo luogo, per massimizzare l’occupabilità, è necessario introdurre un sistema comune di certificazione per rendere le competenze acquisite attraverso i programmi di formazione facilmente comprensibili dai potenziali datori di lavoro in tutta l’UE. In quarto luogo, i programmi dell’UE dedicati all’istruzione e alle competenze dovrebbero essere ridisegnati, in modo che i fondi stanziati possano avere un impatto molto maggiore. Per migliorare l’efficienza e la scalabilità degli investimenti nelle competenze, l’erogazione dei fondi UE dovrebbe essere accompagnata da una più rigorosa responsabilità e valutazione dell’impatto. Parallelamente, si propone di adottare interventi specifici per affrontare le carenze di competenze più acute nelle competenze tecniche e STEM. È necessario concentrarsi in particolare sull’apprendimento degli adulti, che sarà fondamentale per aggiornare le competenze dei lavoratori nel corso della loro vita. In relazione a ciò, anche la formazione professionale necessita di un’ampia riforma in tutta l’UE, mentre settori specifici (catena strategica del valore) o competenze specifiche (capacità sia dei lavoratori che dei dirigenti) richiederanno interventi complementari mirati. Ad esempio, si propone di lanciare un nuovo programma di acquisizione delle competenze tecnologiche per attrarre talenti tecnologici al di fuori dell’UE, adottato a livello europeo e cofinanziato dalla Commissione e dagli Stati membri. Questo programma combinerebbe un nuovo programma di visti a livello europeo per studenti, laureati e ricercatori in settori rilevanti per stimolare l’afflusso, un gran numero di borse di studio accademiche dell’UE, in particolare nelle materie STEM, e contratti di tirocinio per studenti e laureati con centri di ricerca e istituzioni pubbliche partecipanti in tutta l’UE, mantenendo le competenze in Europa nella fase iniziale della carriera dei ricercatori.11 Sempre a livello europeo Enrico Letta, in qualità di Presidente della Fondazione Delors incaricato di indagare le posizioni dei diversi Paesi Europei riguardo ad una nuova visione del Mercato Unico Europeo pone particolare enfasi sul potenziale rivoluzionario della “quinta libertà” connessa alla conoscenza per l’innovazione. 9 Ibidem. 10 Draghi M., The future of European competitiveness, op.cit. pag. 9. 11 Ibidem, pag.29.

16 Il framework del Mercato Unico è stato finora basato sulla libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali. Scrive Letta: “L’intelligenza collettiva del XXI secolo, potendo contare su tecnologie che permettono di combinare conoscenze e competenze delle persone con dataset nuovi per quantità e qualità delle informazioni raccolte, ha il potenziale per trasformare il modo in cui comprendiamo il mondo, in cui agiamo e in cui progettiamo il futuro. Per raggiungere questo obiettivo, è fondamentale stimolare l’innovazione e favorire lo sviluppo di ecosistemi industriali all’avanguardia, in grado di far nascere e sviluppare in Europa aziende e soggetti di rilevanza globale”.12 La creazione di una solida infrastruttura tecnologica europea rappresenta una sfida strategica che richiede un cambiamento di governance.13 Si tratta di conferire maggiore peso a una politica industriale di scala europea, in grado di superare i confini nazionali. È indispensabile attuare strategie europee, caratterizzate da una visione comune e da un coordinamento centralizzato, in grado di attirare ingenti investimenti privati. Senza la presenza di importanti società tecnologiche europee, l’Europa continuerà a essere soggetta inoltre a rischi enormi per la propria sicurezza. L’Europa ha l’imperativo urgente di promuove la conoscenza e l’innovazione – scrive Letta - dotando gli individui, le imprese e gli Stati membri delle competenze, delle infrastrutture e della possibilità di effettuare investimenti necessari per consentire una prosperità diffusa e una leadership industriale. Verso la fine del suo mandato, Jacques Delors ha accennato alla necessità di esplorare una nuova dimensione del Mercato Unico. Una potenziale soluzione è rappresentata dall’aggiunta di una quinta libertà alle quattro esistenti, per potenziare la ricerca, l’innovazione e la formazione nel Mercato Unico. “L’integrazione della quinta libertà nel quadro del Mercato Unico ne rafforza il ruolo di pietra angolare dell’integrazione europea. Trasformerebbe le conoscenze disperse e le disparità oggi esistenti in opportunità di crescita, innovazione e inclusione. Un ambiente competitivo per la ricerca di frontiera e la nascita di nuovi modelli innovativi di business è essenziale per massimizzare l’interesse pubblico ed evitare una concentrazione in mano a pochi soggetti privati del valore derivante dalla raccolta e profilazione dei dati. Pertanto, la quinta libertà non si limita a facilitare la circolazione dei risultati della ricerca e dell’innovazione, ma implica mettere la ricerca e i fattori abilitanti l’innovazione al centro del framework del Mercato Unico, promuovendo così un ecosistema in cui la diffusione della conoscenza favorisca allo stesso tempo la crescita economica, il progresso sociale e lo sviluppo culturale.” 12 Letta E. (2024), Molto più di un mercato, viaggio nella nuova Europa, Il Mulino, Bologna, pag. 139. 13 Sulle difficoltà di attuazione delle indicazioni di Mario Draghi ed anche di Enrico Letta Sergio Fabbrini, attento studioso delle dinamiche di governance degli USA e dell’Europa, mette in guardia riguardo a quella che chiama “la trappola della governance”, vedi Fabbrini S., La UE, Draghi e la trappola della governance, IlSole24Ore, 15 settembre 2024 in cui si legge: “…gli obiettivi prioritari, così come stabiliti dal Rapporto, di una UE più innovativa, più competitiva e più sicura non potranno essere raggiunti attraverso il coordinamento volontario dei governi nazionali, ma richiederebbero la costruzione di meccanismi decisionali indipendenti da questi ultimi……Avendo costruito istituzioni a pezzi e bocconi, i funzionalisti hanno portato l’UE in un vicolo cieco sul piano della governance, consentendo ai governi nazionali di perseguire i loro interessi ritenendo che essi coincidano con l’interesse nazionale…..il Rapporto Draghi, insieme al Rapporto Letta sul mercato singolo, hanno alzato la riflessione sul futuro dell’UE al livello delle sfide che essa deve affrontare. Sfide che nessuno stato membro può affrontare da solo. Si tratta di sfide esistenziali che mettono in discussione crescita economica, inclusione sociale e libertà politica. Tali sfide richiederebbero però un cambiamento di paradigma relativamente al governo dell’Ue. Non si va lontani, senza un’automobile adeguata.”

17 La quinta libertà sosterrà così l’Unione Europea come leader globale non solo nella definizione di standard etici per l’innovazione e la diffusione della conoscenza, ma anche nel ruolo di creatrice di nuove tecnologie, sviluppate e impiegate nel rispetto della libertà, della privacy, della sicurezza e a beneficio della collettività. “Dare concreta attuazione alla quinta libertà richiede però un approccio di ampio respiro, capace di ricomprendere al suo interno iniziative politiche, investimenti infrastrutturali, framework di cooperazione tra soggetti diversi e un impegno costante per promuovere l’innovazione, la scienza aperta e l’alfabetizzazione digitale. Inoltre la fuga di talenti europei al di fuori dell’UE, alla ricerca di migliori opportunità lavorative, sta seriamente minando la capacità di innovazione europea” verso il 2030.14 Guardando nella direzione individuata sia nel Rapporto Draghi che nelle considerazioni prodotte da Enrico Letta della necessità di sviluppare un link maggiormente positivo ed efficace tra conoscenza e innovazione si inserisce a pieno titolo e attualità anche il Report curato da Pascal Lamy, Presidente Emerito del Jacques Delors Institute “Lab-FabApp – Investing in the European future we want”15 finalizzato ad indicare come poter “massimizzare l’impatto della Ricerca Europea nei Programmi di Innovazione”. 1.1.2. Cambiamenti geopolitici e nuove catene globali del valore della manifattura avanzata Qualsiasi considerazione sull’evoluzione della “manifattura avanzata” in Veneto non può prescindere inoltre da alcune focalizzazioni sugli eventi intervenuti a livello “globale” in questi ultimi quatto anni in quanto la sua configurazione produttiva e commerciale è strettamente connessa alle catene globali di fornitura (global supply chain). I ricercatori della Fondazione NordEst nel rapporto 202416 hanno ben evidenziato come gli scenari economici internazionali stiano richiedendo, per essere descritti, un nuovo vocabolario e la revisione delle “catene globali del valore”. “Com’è noto la globalizzazione ha portato nella sua fase più matura a una redistribuzione globale della produzione e della creazione del valore, la quale a sua volta ha permesso a determinate aree di vedere una propria crescita economica a doppia cifra e sostenuta per diversi anni consecutivi. Vi è però una riflessione su quanto siano in realtà vaste le aree toccate dalle idealmente taumaturgiche CGV. Infatti – come la figura 1 riporta – buona parte delle CGV dialoga tra Europa, Nord America ed Estremo Oriente, leggasi rispettivamente paesi dell’Unione Europea, Stati Uniti e Cina. Le evoluzioni nei posizionamenti di mercato, delle alleanze strategiche e delle strutture di supply chain delle nostre imprese ed in particolare della manifattura avanzata sono state condizionate, negli ultimi quattro anni, da eventi eccezionali. Scrivono che: “Sono passati poco più di quattro anni dal primo lockdown, poco più di due dall’inizio del conflitto in Ucraina ed è tutt’altro che lontano l’orizzonte del 7 ottobre 2024, in cui si è aperta una nuova fase di ostilità in Medio Oriente”.17 14 Letta E. (2024), Molto più di un mercato, op.cit. pag. 139-140. 15 Lamy P. (2017), Lab-Fab-App – Investing in the European future we want, Report of the independent High-Level Group on maximizing the impact of EU Research & Innovation Programmes, Directorate General for Research and Innovation. 16 Di Lenna L., Toschi G., (2024), “Reshoring, Nearshoring e Friendshoring: le nuove parole dell’economia internazionale”, in Paolazzi L., G. Toschi (a cura di), Nord Est 2024 – Come vincere le sette grandi sfide in corso, Marsilio, Venezia, pag. 155-158, vedi anche Confindustria Veneto Est, Sace, Fondazione NordEst, (2022), La riorganizzazine internazionale delle reti di fornitura tra reshoring e friendshoring, dicembre. 17 Ibidem, pag. 155.

18 I processi di produzione e internazionalizzazione della manifattura si trovano quindi a dover essere alimentati da scelte di investimenti “ridondanti”: la pandemia, ad esempio, è stato il primo evento mondiale a far suonare un allarme sulla necessità di rivedere i modelli di stoccaggio nei magazzini. Quindi scelte a livello produttivo o commerciale di reshoring, nearshoring, friendshoring in spazi temporali relativamente ristretti. L’avvento del Covid, del conflitto in Ucraina e in Medio Oriente nonché il crescere di latenti tensioni globali hanno inoltre soltanto intensificato un processo di rallentamento – se non di vera decrescita – della globalizzazione che era già in atto da un decennio.18 Reshoring, nearshoring e friendshoring: il primo caso, il più drastico, delinea il riportare l’attività produttiva nel paese di origine, mentre il secondo e il terzo fanno riferimento rispettivamente ad un avvicinamento geografico della posizione dei propri fornitori – presumibilmente con l’ottica di ridurre i costi della logistica – e una rimodulazione sempre dell’assetto dei fornitori ma questa in base a criteri più di tipo politico, optando per paesi con una maggiore affinità con lo stato ospitante la sede centrale. In un più ampio studio realizzato dal Centro Studi Confindustria19 si evidenzia come le CGV italiane si siano dimostrate più resilienti di alcuni altri paesi europei nonostante lo shock pandemico e gli avvenimenti geo-politici. 18 Ibidem, pag. 156. 19 Centro Studi Confindustria (2023), Catene di fornitura tra nuova globalizzazione e autonomia strategica, Roma; Pensa C. e Pignatti M. (a cura di), (2023), Internazionalizzazione delle imprese manifatturiere, settembre, Confindustria, Roma. La natura regionale delle catene globali del valore Fonte: Boffa et al (2019)

19 Anche in un recente Paper della Luiss curato da Arrighetti, De Nardis e Traù dal titolo “Il falso mito della manifattura inefficiente” si dimostra non solo la tenuta del sistema produttivo italiano basato su poche grandi imprese e le molte piccole e medie imprese, ma anche una capacità di tenuta e avanzamento produttivo nei contesti sopra delineati.20 Ovviamente queste considerazioni non possono esentare le aziende ad investire ed accelerare quei processi di innovazione che sempre più hanno bisogno di nutrirsi della conoscenza prodotta dai centri di ricerca per riversarla sull’innovazione strategica, organizzativa e produttiva delle imprese come richiamato con decisione da Mario Draghi nel recente rapporto sulla “competitività europea”. A livello Manageriale le prospettive connesse alla revisione delle CGV e alle decisioni di Reshoring o di Nearshoring implicano ovviamene l’affinamento e/o acquisizione di nuove competenze con focus strategico, commerciale, tecnologico e organizzativo per poter prendere decisioni efficaci ed in tempi rapidi. 1.1.3. L’economia veneta: dal potenziale allo sviluppo Al fine del nostro lavoro e per comprendere come le caratteristiche della dimensione della conoscenza, della ricerca e dell’innovazione si connettono al territorio ed alle sue caratteristiche produttive, è molto interessante l’approccio adottato nel Rapporto Statistico 2024 della Regione Veneto21 in relazione alla comprensione della capacità di un territorio di riconoscere il proprio potenziale e supportarlo affinché questo divenga vero e proprio sviluppo. Tra questo potenziale possiamo senz’altro enucleare la possibilità di un miglioramento ed efficacia delle relazioni tra Università, Ricerca Scientifica e Tecnologica e le Imprese. 20 Arrighetti A., de Nardis S., Traù F., (2024), Il falso mito della manifattura inefficiente, Luiss Institute for European Analysis and Policy, Working Paper 11/2024. 21 Regione Veneto, Rapporto Statistico 2024, 3. Dal potenziale germoglia lo sviluppo, Venezia, pagg. 76-96. CGV italiane più resilienti degli esportatori tradizionali e più di quelli esteri nonostante shock pandemico e geo-politici alla logistica Stime basate su dati Confindustria (2023) e European Commission

20 Problema che spesso è stato rapportato alle dimensioni delle nostre imprese e le caratteristiche imprenditoriali, al basso tasso di investimenti in R&S (1,4%), ma che andando ad osservare il fenomeno lungo un trentennio di lavoro ha ora la possibilità di vedere un “nuovo sviluppo” in quanto entrambe le parti e non ultima l’Amministrazione Pubblica Regionale, sulle sollecitazioni e metodologie indicate dalla UE, stanno dando attenzione, avviando metodologie e incentivando la nascita, crescita e sviluppo di “nuovi ecosistemi della conoscenza e della produzione” di cui già si vedono gli effetti positivi. Il riferimento va, dal lato Università alla nascita di Spin-off che contengono contenuti e metodologie per arrivare al trasferimento di saperi e tecnologie verso le imprese, dall’altro la consorziazione tra aziende che già operano o vorrebbero estendere il proprio business in nuovi settori ad alta intensità di sapere e tecnologia, vedi i Cluster Tecnologici. Il concetto di “potenziale” – si legge nel Rapporto – si riferisce al complesso delle capacità intrinseche, dei mezzi, delle risorse, delle specificità di cui un territorio dispone, o può disporre, per svilupparsi e raggiungere determinati risultati. Il potenziale economico veneto, con le sue capacità di generare ricchezza e prosperità, dipende da una serie di qualità che solo in parte sono materiali: accanto all’uso efficiente delle risorse già in essere e alla massimizzazione dei rendimenti, si possono citare le competenze e le professionalità degli individui, la capacità di innovazione e di adattamento alle mutevoli condizioni di mercato, la presenza di infrastrutture fisiche o intangibili, ma anche l’offerta culturale, la morfologia del territorio e la stabilità politica.22 La struttura economica vede il Veneto posizionarsi al terzo posto per la produzione di ricchezza, misurata in termini di Prodotto Interno Lordo, dopo Lombardia e Lazio: il PIL Veneto è di 180,6 miliardi di euro nel 2022, il 9,3% del Prodotto Interno Lordo nazionale è realizzato in questo territorio. Il PIL per abitante nel 2022 risulta di 37.238 euro a valori correnti, superiore del 13% rispetto a quello nazionale. 22 Ibidem, pag. 75. PIL pro capite e retribuzioni interne lorde per ora lavorata da occupato dipendente (*) per regione - Anno 2022 (*) Retribuzioni interne lorde per ora lavorata al 2021 Fonte: Elaborazioni dell’Ufficio di Statistica della Regione del Veneto su dati Istat

21 Dal punto di vista settoriale il Veneto rimane una regione a vocazione fortemente industriale, il manifatturiero è una dorsale importante sia in termini di forza lavoro, sia in termini di produzione di ricchezza, incrementata da importanti scambi internazionali di merci: il valore aggiunto prodotto dall’industria in senso stretto è pari a 6,3 miliardi di euro, circa il 28,6% del totale regionale. Nel confronto interregionale la manifattura veneta emerge in termini di produttività: il suo valore aggiunto pro capite in Veneto è pari a 9.548,4 Euro, superiore di quasi 3.300 euro alla media nazionale. L’analisi della produzione di ricchezza nel tempo evidenzia un Veneto che, pur risentendo dei periodi di crisi in modo anche più deciso alla media nazionale, si riprende repentinamente e con un’intensità superiore rispetto alla media delle regioni italiane. A partire dal 2007, anno di massimo apice dell’economia veneta, analizzando la serie storica del PIL a valori reali, negli anni di crisi e quelli immediatamente successivi si osservano reazioni più positive per il Veneto rispetto alla media nazionale. Ad oggi, nonostante nel 2020 il Covid e l’interruzione delle attività abbiano messo a dura prova il sistema produttivo, il Veneto ha pienamente compensato le quantità perdute negli anni difficili. Relativamente all’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione si afferma che questi tre fattori rappresentano un enorme potenziale per tutti i settori collegato a tutte le attività ed alla capacità di gestire e valorizzare la produzione aziendale. Viene quindi evidenziato come la ricerca, la capacità innovativa e la conoscenza dipendono da diversi fattori, quali: • cultura imprenditoriale • competenze della forza lavoro • educazione ed istituti di formazione • servizi di supporto all’innovazione e ancora • meccanismi di trasferimento tecnologico • mobilità dei ricercatori • fonti di finanziamento • potenziale creativo. Variazioni % annue del Prodotto interno lordo (valori concatenati anno di riferimento 2015) Veneto e Italia - Anni 1996:2023 Fonte: Elaborazioni dell’Ufficio di Statistica della Regione del Veneto su dati Istat e stime Prometeia

22 Negli ultimi venti anni l’intensità complessiva della ricerca e sviluppo del Veneto, pur partendo da una situazione di debolezza rispetto ad altre regioni del nord sta facendo piccoli passi in avanti: la spesa era pari all’1% del PIL nel 2008 risulta pari all’1,1% nel 2014 e all’1,3% nel 2021, rimanendo ancora leggermente inferiore dal dato nazionale. Una nota esplicita che “per ricerca si intende quel complesso di lavori creativi intrapresi in modo sistematico, sia al fine di accrescere l’insieme della conoscenza (ivi compresa la conoscenza dell’uomo, della sua cultura e della società) sia per utilizzare la conoscenza in nuove applicazioni pratiche.”23 Nel quadro di un ampio sostegno all’applicazione delle tecnologie digitali nei vari ambiti, dalla ricerca scientifica alle applicazioni industriali, si sono inserite le politiche per la promozione di start-up innovative. Lo sviluppo di tali imprese, in cui spesso sono presenti tecnologie in fase avanzata di sviluppo e piattaforme tecnologiche che possono trovare nelle aziende manifatturiere contesti di adozione su larga scala, diventa fondamentale per favorire la crescita economica, lo sviluppo tecnologico e l’occupazione, in primis giovanile, di un territorio. E non solo, sostenere l’imprenditorialità innovativa rafforza il legame tra università e imprese, promuove una maggiore propensione all’assunzione del rischio imprenditoriale e favorisce l’attrazione di talenti, imprese innovative e capitali dall’estero. In Veneto, a gennaio 2024, sono 839 le start-up innovative, dato che pone la regione in quinta posizione in Italia: quasi il 70% opera nel comparto dei servizi pubblici dove a prevalere sono la produzione di software e consulenza informatica e le attività di ricerca e sviluppo. Poco più del 20% (pari a 168) afferisce invece ai settori industriali e dell’edilizia.24 23 Ibidem, pag. 80. 24 Idibem, pag, 82. Percentuale della spesa in ricerca e sviluppo sul PIL Veneto, Emilia Romagna, Lombardia, Italia e UE27 - Anni 2010:2021 Fonte: Elaborazioni dell’Ufficio di Statistica della Regione del Veneto su dati Istat ed Eurostat

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