Management delle Nuove Filiere SPACE & HYDROGEN in Veneto

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2 MANAGEMENT DELLE NUOVE FILIERE SPACE & HYDROGEN IN VENETO Codice Progetto: IS_08-2023 (CIG 98154258F1) Ricerca finanaziata da Fondirigenti, realizzata da Confindustria Veneto SIAV e t2i – Trasferimento Tecnologico e Innovazione, promossa da Confindustria Veneto e Federmanager Veneto.

3 Analisi dell’evoluzione RIR e Sintesi provvedimenti Regionali di indirizzo

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5 Introduzione 1. DAI DISTRETTI ALLE NUOVE RETI DI INNOVAZIONE REGIONALE: le “nuove piattaforme territoriali” 1.1 Analisi aziendalistica: distretti, filiere produttive e reti di innovazione regionali 1.1.1 I Distretti... in transizione 1.1.2 Le Filiere... Innovative come “nuove piattaforme territoriali” 1.1.2.1 Le Filiere Produttive 1.1.2.2 La filiera della crocieristica: esempio di “nuova piattaforma integrata” 1.1.2.3 Le filiere dell’energia e dell’idrogeno 1.1.3 Reti di Innovazione Regionali… e la ricerca 1.2 Politiche Regionali nell’accompagnamento trasformativo industriale 1.2.1 La Nuova Smart Specialisation Strategy del Veneto 1.2.2 Le due “missioni trasversali”: Space Economy, Biotecnologie e Hydrogen 1.2.2.1 Approfondimenti e opportunità connesse alla nuova economia dello spazio: “Space economy” 1.2.2.2 Approfondimenti e opportunità connesse alle Biotecnologie e Hydrogen Indicazioni bibliografiche e documentali p.6 p.8 p.8 p.8 p.14 p.14 p.15 p.17 p.21 p.27 p.27 p.36 p.37 p.42 p.48 INDICE

6 INTRODUZIONE L’economia veneta si è caratterizzata, a partire dai primi anni ’80, per lo sviluppo della componente manifatturiera e delle attività di “ricerca e sviluppo” legate al consolidamento di una specifica “funzione” delle imprese venete nel contesto globale: innovazione su commessa e servizio “complesso”. Questa funzione, che può essere condensata nel concetto di “piattaforma manifatturiera al servizio delle principali filiere internazionali”, ha visto l’organizzazione dei soggetti territoriali in peculiari aggregazioni di impresa che hanno assunto soprattutto la forma dei distretti produttivi. Nel periodo successivo all’introduzione dell’Euro e all’apertura dei mercati globali dei BRIC, l’economia veneta ha confermato la propria identità di “piattaforma manifatturiera” flessibile, al servizio delle filiere globali, capace di crescere grazie alla condivisione di codici e paradigmi di innovazione tra i diversi soggetti delle filiere nonché attraverso la loro rielaborazione che poggia su un’estesa rete di competenze e una base produttiva molto articolata. Il percorso evolutivo della regione, da un punto di vista industriale, può dunque essere compreso alla luce di questa “specializzazione”, che diventa elemento identitario e linea guida nelle attività innovative in cui non è rilevante la testa delle filiere globali più interessanti, mentre è decisivo attivare processi di ricombinazione dei fattori che consentano di mantenere il ruolo di “primo fornitore” globale. In questa chiave è possibile spiegare perché alla perdita di posizioni di leader nelle catene globali del valore abbia corrisposto una crescita dei valori di esportazione e di un costante flusso di investimento sull’innovazione incrementale intra muros. Fenomeno che si è manifestato anche durante e post la crisi pandemica del 2020-22. Il percorso di sviluppo dell’economia regionale ha quindi questa “distintività” rispetto a regioni assunte spesso quali benchmark per dimensioni/caratteristiche dei propri sistemi produttivi, quali Lombardia ed Emilia Romagna oppure Baviera e Baden-Wurttemberg. Un aspetto che caratterizza le imprese del territorio è come per il loro sistema competitivo facciano leva in primo luogo sulla qualità del prodotto o del servizio offerta all’interno della propria filiera. Questi fattori competitivi sono possibili anche per la “professionalità e competenza del personale” che però in questi ultimi anni sta subendo delle “difficoltà crescenti” dovute, in parte, ad un gap di coerenza tra l’offerta e l’aspettativa delle imprese. Il gap di competenze richieste dalle imprese non solo manifatturiere ma anche e soprattutto del terziario innovativo è cresciuto nel tempo, diventando responsabile, da un lato, di un processo di “migrazione dei talenti” verso regioni più attrattive, dall’altro di tensioni sempre più ampie sul mercato del lavoro, con allungamento dei tempi di reperimento di manodopera e la mancanza di alcune figure specializzate. Questo in un quadro economico-produttivo aperto alla competizione internazionale, ben inserito nelle filiere globali e ben presente sui mercati internazionali. Rispetto ad altri contesti, infatti, il Veneto dispone di un livello di “complessità economica” piuttosto elevato come dimostrato in uno studio comparativo delle province italiane realizzato dal Centro Studi Confindustria1. Il livello di complessità consente ai sistemi economico-produttivi un elevato grado di “resilienza” anche di fronte a shock congiunturali importanti e trasformazioni della domanda finale. L’innovazione, infatti, è un processo che dipende dalla capacità di combinare in modo produttivo lo stock di conoscenze disponibili in un sistema economico. Perciò, tanto maggiori sono quantità e qualità delle conoscenze produttive presenti in un’economia, tanto maggiore è il suo potenziale di innovazione. 1| Buccellato T., The competences of firms are the backbone of economic complexity, in Centro Studi Confindustria, CSC Working Paper, 2 dicembre 2018, vedi anche Buccellato T., Corò G., Toschi G., Le specializzazioni del Nord-Est: Come muoversi verso la complessità, in Paolazzi L., Toschi G. (a cura di), Nord Est 2022. Il futuro sta passando – Chi è pronto e chi no, pagg. 71-83.

7 Per molti anni però il Veneto, stante anche la dimensione media delle aziende di produzione, ha trovato forti ostacoli di connessione con i sistemi della “conoscenza per l’innovazione”, in primis con l’Università, ma anche con i kibs (knowledge innovation business services) che a partire degli anni ’90 si ponevano come interfaccia tra l’Università e le Imprese nel trasferimento tecnologico e trasferimento di conoscenza applicata. Ed è proprio il passaggio a livello regionale di strategie, che sono avvenute anche su sollecitazione Comunitaria, che si è guardato con molta attenzione al supporto della formazione di nuove configurazioni collaborative che mettessero insieme impresa manifatturiera, università e centri di competenza tecnologica e manageriale. Si tratta in particolare delle Reti di Innovazione Regionali che ha visto dapprima (programmazione 2014-2020) il formarsi attorno alle maggiori specializzazioni produttive di 21 Reti e successivamente (programmazione 2021-2027) l’aggiunta di due missioni strategiche: la Bioeconomy e la Space Economy che da un lato andassero, in modo coordinato, a mettere insieme elevate competenze manifatturiere, della ricerca e della managerialità e dall’altro intercettassero mercati a più elevato tasso di innovazione connessi alle “economie del futuro”. Il Nord-est detiene infatti il 19% dei brevetti critici per la space economy e una centralità (la possibilità di generare contaminazioni tra tecnologie abilitanti e applicazioni) pari al 26% della centralità totale in ambito di tecnologie collegate all’economia dello spazio. “In termini più generali sta emergendo un elevato potenziale di sviluppo delle tecnologie aerospace negli ecosistemi manifatturieri del Nord-est”.2 In questa transizione “industriale” il ruolo e le competenze manageriali difficilmente sono stati focalizzati sulle variabili che maggiormente avrebbero condizionato più o meno pesantemente la revisione del business model delle aziende e delle aggregazioni di appartenenza. Si ritiene quindi utile produrre delle indicazioni per strutturare al meglio un set di indicazioni di competenza per il management sia a livello aziendale che di coloro che hanno operato e si sono cimentati nel management degli aggregati a livello distrettuale, di filiera e di rete. Ai fini della ricerca si andranno quindi a cogliere quelli che sono gli elementi caratterizzanti il ruolo dei manager e le loro competenze rispettivamente nelle gestioni: DISTRETTUALI ad elevata intensità di produzione DI FILIERA ad elevata intensità di interscambio DI RETE a più elevata intensità di cooperazione nella ricerca & innovazione 2| Paolazzi L., Toschi G., I quattro punti cardinali per il viaggio lungo e fecondo alla scoperta del futuro, in La mappa della possibilità infinite, Fondazione Nord Est 2023, pag. 21.

8 1. DAI DISTRETTI ALLE NUOVE RETI DI INNOVAZIONE REGIONALE: le “nuove piattaforme territoriali” 1.1 Analisi aziendalistica: distretti, filiere produttive e reti di innovazione regionali 1.1.1 I Distretti… in transizione In questa prima parte viene prodotta un’analisi dell’evoluzione della letteratura aziendalistica regionale in tema di Distretti, Filiere e Reti di Innovazione. In Veneto sono numerosi gli studi che in passato sono stati dedicati ai distretti, alle filiere ed agli aggregati di impresa in quanto le configurazioni dimensionali delle imprese ed il radicamento sociale nel territorio sono stati tali da favorire forme collaborative per rispondere in modo competitivo alle richieste del mercato. Negli ultimi anni le complessità connesse ad un ampliamento ed a una maggiore “sofisticazione dei mercati” e non da ultimo le “grandi crisi” (finanziaria, pandemica, ambientale e bellica) ed un riassetto dei mercati globali, hanno richiesto anche alle aziende venete di percorrere nuovi modelli di business in cui le variabili: tecnologiche, manageriali e collaborative hanno necessariamente dovuto evolvere verso sistemi collaborativi più sofisticati, come ad esempio le Reti di Innovazione Regionale. In un articolo di qualche anno fa Enzo Rullani3 ha proposto una analisi evolutiva dei distretti industriali in Veneto4 affermando che “molti li davano per morti” di fronte alla forza di transizione iniziata negli anni 2000 che vedeva il prepotente emergere di filiere globali (al posto di quelle locali dei distretti) e di sistemi digitali di produzione e di consumo (al posto dei circuiti informali e interpersonali della prossimità distrettuale). Invece, afferma, “i distretti sono vivi e vitali, e pur avendo subito i danni indotti dalla crisi 2008-2014 hanno trovato un loro modo di praticare la rivoluzione digitale e globale in corso, sia pure subendo il peso di ostacoli e problemi non ancora risolti”. Possiamo affermare che anche nei periodi caratterizzati dalla crisi pandemica e dallo scontro bellico russo-ucraino (2020-2023) le performance rilevate in alcuni distretti, quali ad esempio la meccanica-meccatronica dell’Alto Vicentino, hanno dimostrato tutta la forza della “vicinanza tra imprese” che ha permesso di rispondere ad una nuova e più elevata intensità della domanda proveniente anche da decisioni strategiche di nearshoring di medie-grandi imprese clienti, possibile grazie anche agli stock di tecnologia, scorte e conoscenza presenti nelle aziende del distretto stesso. 3| Rullani E., Distretti Industriali e NordEst: dal vecchio al nuovo, la difficile transizione, Economia e Società Regionale, XXXV (2) – Distretti locali e catene globali, 2017, pag. 10. 4| I criteri e l’identificazione ed il riconoscimento dei 17 Distretti Industriali del Veneto è contenuta nella Legge Regionale 30 maggio 2014, n. 13, “Disciplina dei distretti industriali, delle reti innovative regionali e delle aggregazioni di imprese” che, in sintonia con la legge regionale in tema di ricerca e innovazione, 18 maggio 2007, n. 9, promuove azioni di sostegno allo sviluppo del sistema produttivo regionale per incrementare la competitività dei propri prodotti, lo sviluppo di nuovi processi, la promozione della manifattura sul mercato globale, la difesa e l’incremento occupazionale, la crescita di imprenditoria innovativa e nuova imprenditorialità, la creazione di ecosistemi di business a favore dell’innovazione dei settori produttivi. Tra i tratti “tipici” del modello distrettuale si cita: - l’alta circolazione di conoscenze, poiché il “sapere”, il “know how”, è radicato nel territorio e viene facilmente condiviso da tutta la comunità, potendo quindi circolare tra le imprese; - la concorrenza elevata, con conseguente spinta all’innovazione e al miglioramento continuo; - le dimensioni contenute delle aziende, con conseguente capacità di essere flessibili e perciò dinamiche e reattive; - l’opportunità per le imprese, pur rimanendo la propria autonomia, di cooperare, all’occorrenza sfruttando la facilità di comunicazione derivante da rapporti personali consolidati dalla vicinanza territoriale, condividendo così le esigenze di risoluzione di problematiche comuni.

9 La complessiva tenuta dei sistemi distrettuali di parte industriale è confermata anche dai dati del “Monitor dei distretti industriali triveneti”5 e dal valore prodotto dall’esportazione. “Nei primi 9 mesi del 2022 i distretti del Triveneto, nonostante la complessità del contesto internazionale, sono riusciti a superare i 31 miliardi di euro di esportazioni a prezzi correnti, 4 miliardi in più rispetto allo stesso periodo del 2021 e oltre 5,4 miliardi in più rispetto al periodo pre-pandemico. Le aree geografiche che hanno maggiormente contribuito all’incremento delle vendite dei distretti del Triveneto sono state l’Europa (+2,5 miliardi di euro) e il Nord America (+1,4 miliardi di euro), seguite dal Medio Oriente (+404 milioni di euro) e dall’Asia Orientale (+307 milioni di euro). La buona performance dei distretti del triveneto è attribuibile principalmente alla ripresa delle esportazioni nei mesi estivi del comparto della moda, dell’occhialeria e dell’oreficeria (+15,5%) e del comparto dei macchinari, della termomeccanica e della meccatronica (+18,6% nei distretti veneti) dei quali riportiamo alcuni dati delle perfomance esportative. I primi nove mesi del 2022 sono stati importanti per la ripresa del comparto metalmeccanico veneto, in cui spicca la Meccanica strumentale di Vicenza (+14,7%), grazie alla spinta degli Stati Uniti (+44%), della Francia e della Turchia. Seguono poi la Termomeccanica scaligera (+14,4%) cresciuta principalmente nei paesi europei (Germania, Francia e Polonia, la Termomeccanica di Padova (+12,8%) trainata da Regno Unito, Stati Uniti ed Australia e le macchine agricole di Padova e Vicenza (+16,7%) con incrementi rilevanti negli Stati Uniti (+29%), in Germania e Polonia (+43%). È interessante rilevare come nonostante le difficoltà del rincaro dell’energia e degli approvvigionamenti di materie prime, nel periodo luglio-settembre i distretti del metalmeccanico veneto abbiano segnalato una maggiore intensità di crescita sui mercati esteri. Altre performance che spiccano sui mercati esteri sono delle Materie Plastiche di Treviso, Vicenza e Padova (+15,1%) con le imprese di Treviso che segnano la maggior crescita (+21,5%) grazie al rafforzamento delle esportazioni in Germania (+49%), Francia e Spagna. Sempre su questi mercati ottengono maggiori incrementi anche le imprese padovane, mentre le vicentine rafforzano le vendite negli Stati Uniti, in Polonia ed in Turchia. Il Grafico veronese si attesta come il primo tra i distretti veneti per intensità di crescita nei primi 9 mesi del 2022 sul 2021: +48,8% grazie alla grande richiesta di packaging e di carta e cartone per le spedizioni, spinta dalla ripresa dei consumi voluttuari, soprattutto dal mercato statunitense, dove le esportazioni sono cresciute di 5 volte. Le Calzature del Brenta presentano un incremento rilevante (+27,9% gen.-set. 2022 su 2021) che definitivamente archivia le perdite del periodo pandemico (+8% sul 2019). Determinante si è rilevato il sodalizio con la Francia e le maison di alta moda che hanno stabilito nel distretto la propria sede di produzione: infatti il 56% delle esportazioni del distretto nel 2021 erano dirette al mercato francese, cresciuto ulteriormente nei primi 9 mesi del 2022 del 37%, seguito a distanza dalla crescita negli Stati Uniti e in Germania. L’Occhialeria di Belluno ha registrato il maggior contributo alle vendite tra luglio e settembre 2022 negli Stati Uniti, primo con il 35% delle esportazioni, in Cina (+68%) e in Francia (+24%). Il settore, grazie alla ripresa della socialità e dei viaggi, ha raggiunto livelli massimi di esportazioni nei primi mesi del 2022 nel comparto degli occhiali da sole. Si attestano su livelli a doppia cifra sul 2021 anche gli incrementi nell’export delle montature per occhiali in plastica (+14%). Le strategie messe in atto dai big player del distretto bellunese nella ripresa post-covid riguardano il continuo rinnovamento del portafoglio delle licenze di alta gamma. Nel distretto si concentrano delle grandi maison del lusso come LVHM. L’ulteriore espansione dei mercati esteri viene gestita dalle imprese del distretto attraverso l’ampliamento della rete di distribuzione, specializzata per gli occhiali correttivi e delle catene di negozi di ottica di proprietà, per gli occhiali da sole.6 Di seguito una recente Mappa dei Distretti Industriali nel Veneto.7 5| Intesa San Paolo, Monitor distretti industriali al terzo trimestre 2022. Export primi 9 mesi +15,1%, superati i 31 miliardi di euro di esportazioni, pag. 1. 6| Ibidem, pag. 1. 7| Associazione Italiana di Cartografia, Geografia dell’innovazione logistica nel Nord Est, Trieste, 2021, pag. 25.

10 Le realtà distrettuali non sono evidentemente tutte uguali, differendo una dall’altra per dimensioni (numero di unità locali e di addetti che vi operano), organizzazione logistica, tipologie di prodotto, ecc. Si possono comunque enucleare tre principali forme: Distretti Indotto caratterizzati dalla presenza di una o poche imprese leader capaci di presidiare il proprio mercato internazionale di riferimento (un esempio è quello dell’occhialeria bellunese) e da un forte potere contrattuale delle imprese leader nei confronti delle altre imprese, che tuttavia possono beneficiare delle economie di scala prodotte dalle capofila. Le strutture organizzative della logistica sono basate su supply chain di fatto tradizionali, con una produzione industriale in grandi lotti ed una media o alta conflittualità tra imprese leader. Figura di distretto indotto

11 Distretti Concorrenziali nei quali si trova un buon numero di imprese leader in forte concorrenza tra di loro, ad esempio il distretto dello sportsystem di Montebelluna, laddove ogni impresa sviluppa una propria supply chain con una marcata divisione del lavoro. Le PMI appartengono contemporaneamente a più di una rete produttiva e la produzione, realizzata solitamente in piccoli lotti, è industriale ma con forti componenti artigiani. Qui risulta ancora elevata l’importanza della conoscenza insita nel distretto-territorio come piattaforma cognitiva. Figura distretto concorrenziale Distretti Polverizzati dove le numerose imprese, delle quali nessuna riesce ad emergere sulle altre, sono di piccole dimensioni, non hanno un’organizzazione di matrice industriali e non sono contraddistinte da una spiccata divisone del lavoro, un esempio è il distretto del mobile d’arte di Bassano del Grappa. La produzione, le cui caratteristiche identificano il distretto stesso è ancora di tipo artigianale e realizzata in piccoli lotti spesso personalizzati; è forte il legame con il territorio e la sua cultura.8 Figura distretto polverizzato Tornando alle analisi delle transizioni distrettuali di Rullani, “L’idea che la transizione verso una economia più globale e più digitale fosse dominata dalla riscossa della grande impresa si è rivelata priva di fondamento, nonostante l’apertura globale dei mercati abbia dato una rendita di posizione importante alle aziende multinazionali, che già avevano fatto esperienza e investimenti all’estero, specialmente nei Paesi emergenti. In realtà l’avvento delle grandi piattaforme digitali (sia nelle filiere produttive e distributive che nel consumo) ha cambiato la situazione, perché le piccole e medie imprese più dinamiche hanno avuto accesso a canali efficienti di comunicazione e interazione a distanza, che una volta erano riservati alle grandi multinazionali insediate in più paesi. Di conseguenza, l’innovazione sul terreno digitale e globale oggi non è più monopolio delle grandissime imprese, ma vede una presenza sempre più rilevante di startup e piccole realtà imprenditoriali votate all’esplorazione creativa del nuovo. 8| Ibidem, pagg. 19-21.

12 I loro limiti di scala sono superati dalla capacità di lavorare in rete, dividendosi il lavoro e condividendo le conoscenze necessarie che le porta a collaborare attivamente anche con le grandi imprese interessate al loro campo di investimento e ricerca. Anzi, è ormai divenuta una prassi in molti Paesi che le grandi imprese favoriscano la sperimentazione del nuovo in realtà esterne (di piccola scala) che, quando mettono a punto un’idea di successo, possono poi essere acquistate dalla grande impresa, per moltiplicare rapidamente le applicazioni e i volumi ricavati dall’idea di business vincente. Inoltre, operando in rete, le piccole imprese innovative possono sviluppare prodotti di nicchia o fornire soluzioni personalizzate ai clienti interessati (anche lontani), utilizzando la forza connettiva delle grandi piattaforme. Dunque il modello ereditato dal passato, sia dei distretti che per il Nordest non è affatto fuori dalla traiettoria della rivoluzione digitale e globale in corso. Se si vanno a vedere le assi portanti della rivoluzione digitale, dal punto di vista tecnologico, il suo motore “storico” va individuato nella crescita esponenziale della potenza di calcolo informatico. Nel passaggio tra i due secoli questa potenza in rapida crescita è stata affiancata dalla creazione di una rete aperta di carattere universale che consente alle informazioni digitali provenienti o dirette ai computer di propagarsi a distanza in tempo reale e a costo zero in tutto il pianeta. Nel frattempo il calcolo si è evoluto perdendo il suo aspetto deterministico iniziale e diventando un mezzo per simulare e programmare un evento o una serie di eventi. Le macchine hanno imparato a entrare in contatto con i contesti e le altre macchine, oltre che con l’uomo. Algoritmi sofisticati sanno ormai estrarre dati e profili significativi dell’esperienza corrente adottando di volta in volta soluzioni più funzionali per raggiungere un risultato. Grazie agli algoritmi digitali disponibili, il virtuale può sommarsi col reale e simulare mondi ibridi in cui si dilata il regno delle nostre possibili esperienze. Le conseguenze pratiche di questa trasformazione sono soprattutto due: a) l’implosione della distanza dovuta alle comunicazione digitali a costo zero ed in tempo reale che fa sì che le reti locali si aprano necessariamente al globale, dando luogo a filiere di divisione del lavoro su scala mondiale; la necessità di usare in modo complementare la conoscenza codificata che si muove nelle reti digitali e governa le macchine automatiche e la conoscenza generativa messa in campo dagli uomini per creare i codici digitali, innovare prodotti e processi, propagare significati e linguaggi complessi, interpretare situazioni di incertezza e prendere decisioni a rischi.9 L’attuale evoluzione dell’Intelligenza Artificiale con la creazione di soluzioni tratte dalle reti neurali arriva a simulare il “pensiero generativo” andando “oltre” la definizione di cui sopra che sembrava già “molto avanti”. Uno dei problemi connessi all’evoluzione distrettuale si può ricondurre al “sotto-investimento” nelle risorse umane, in qualche modo veniva maggiormente evidenziata all’appartenenza territoriale delle persone siano essi imprenditori, manager o persone in produzione che non la capacità, divenuta in seguito necessità, di interconnessione con “luoghi altri” con nuove tecnologie e nuovi saperi. Questo ha molto influito nella lenta evoluzione del management “distrettuale” a volte maggiormente ancorato a persone con competenze che assicurassero la tenuta ed il rinforzo produttivo, piuttosto che affrontare i nuovi driver tecnologici ed una globalizzazione in rapido cambiamento. Ancora Rullani afferma che “Oggi bisogna per tutte le imprese, e non solo per i “pionieri” che stanno esplorando le nuove possibilità, adeguare le vele e le rotte al “nuovo vento”, modificando le condizioni che in passato hanno portato al sotto-investimento. Occorre farlo senza perdere gli elementi positivi del sistema precedente: la nascita di nuove iniziative senza grandi pre-esistenze, l’impiego dell’intelligenza delle persone nel rendere duttili i processi produttivi, le reti sociali ed economiche emerse nei sistemi locali; la flessibilità resiliente delle filiere di divisione del lavoro ancorate alla prossimità ed alle relazioni informali tra persone. Oggi, accanto, a tutto questo bisogna mettere le persone e le imprese in grado non solo di padroneggiare i codici digitali delle macchine e delle relazioni delle reti globali, ma anche di sviluppare nuove identità sociali, ancorate alla condivisione di progetti di futuro possibile, più che alla semplice prossimità fisica”. 9| Rullani E., Distretti Industriali e NordEst: dal vecchio al nuovo, la difficile transizione, Economia e Società Regionale, XXXV (2) – Distretti locali e catene globali, 2017, pag. 19.

13 Se osserviamo il cambiamento in corso in ogni distretto – e nei diversi luoghi distrettuali del Nordest – possiamo constatare come sia sempre più necessario realizzare un processo di ibridazione tra intelligenza fluida delle persone e codici digitali. A tutti i livelli operativi (dall’operaio al manager, passando per il venditore commerciale), per ogni problema da affrontare è ormai necessario ricombinare il sapere informale, ricavato dall’esperienza pratica, con il sapere codificato che si scambia nelle reti digitali, in funzione dei progetti di co-innovazione a cui si collabora. Vanno inoltre prendendo forma in ogni settore, nuovi modelli di business che fanno tesoro dell’esperienza trans-territoriale proposta dalla rivoluzione digitale. I modelli di business che erano stati plasmati su una esperienza addensata nel circuito locale cambiano, perché le funzioni una volta addensate nei distretti si distribuiscono a tre livelli (diversi e complementari) che vanno oltre l’orizzonte locale, mettendo insieme: • la presenza attiva di uno o più cluster creativi in cui prendono forma le nuove idee e si fanno le sperimentazioni da tradurre in conoscenza generativa e in modelli di innovazione replicabili; • l’accesso alla rete cognitiva globale della conoscenza codificata, mediante la padronanza dei linguaggi formali in cui essa è espressa (i linguaggi dell’ingegneria, dell’informatica, del management, della contabilità, del diritto, della comunicazione ecc.); • la partecipazione ad una global supply chain che distribuisce fasi e funzioni operative tra molti luoghi, sfruttando le loro differenze in termini di capacità (tecniche, logistiche, innovative, di mercato ecc.) e di costo (per il lavoro, l’energia, le tasse, i vincoli ambientali, gli incentivi, ecc.). Una visione dell’evoluzione dei distretti viene presentata anche da Luca Romano10 che elabora una visione che arriva ad affermare che “C’erano i distretti” in cui si legge che – “rispetto alla classica lettura di Giacomo Becattini11 “il “di più” di produttività del distretto industriale non deriva dalla mera vicinanza spaziale delle imprese di uno stesso settore, ma dalla formazione di un “ambiente produttivo speciale” che affonda le sue radici nella comunità produttiva locale nel suo complesso (famiglie e altre istituzioni incluse) e, interagendo con gli “ambienti produttivi interni” delle singole imprese, produce l’effetto distretto”. L’economia della conoscenza ha stemperato, se non dissolto, i “nessi di intimità” che conferivano valore alla prossimità fisica attraverso un ambiente produttivo speciale. I nessi di intimità sono sostituiti da relazioni commerciali più fredde, di tipo contrattuale, in cui l’impresa distrettuale svolge il suo percorso innovativo acquistando anche all’esterno del territorio di appartenenza ciò che serve alle grandi transizioni. Le trasformazioni industriali e distrettuali sono senza dubbio condizionate dalle nuove piattaforme digitali che però, secondo i ricercatori di Aaster12, non svuoteranno le piattaforme territoriali a base manifatturiera, poiché si nutrono della loro capacità produttiva, del lavoro socializzato che le alimentano, delle capacità di consumo dei suoi abitanti-produttori e, certo, anche della becattiniana “molla caricata nei secoli” del patrimonio conoscitivo sedimentato nei luoghi. La logica intima delle nuove piattaforme non è di abolire le reti di produzione, di mercato e di riproduzione a base locale, semmai la loro cooptazione (vedi il concetto dal lavoro di David Stark e Ivana Pais sul management algoritmico)13, nell’ambito di processi di scomposizione e riorganizzazione dei lavori. La piattaforma digitale non può fare a meno della piattaforma territoriale, gli algoritmi applicati alla produzione industriale delle industrie, e così via: le catene sono sempre reciproche. Certamente, però, si ridefiniscono le gerarchie economiche e sociali, le metriche del valore, la composizione dei gruppi dominanti e subalterni, le geografie del lavoro.14 10| Romano L., La metamorfosi del Nordest dai distretti alle filiere innovative, in Corriere Imprese, 10 febbraio 2023; vedi anche Bonomi A., Oltre le mura dell’impresa, Vivere, abitare, lavorare nelle piattaforme territoriali, Comunità concrete, 2021. 11| Becattini G., Il distretto industriale, 2000, Becattini G., La coscienza dei luoghi. Il territorio come soggetto corale, 2015. 12| Consorzio Aaster, Tornando su “Oltre le mura dell’impresa”, https://www.aster.it/2022/02/13/tornando-su-oltre-le-mura-dell’impresa/. 13| Stark D., Pais I., Management algoritmico nell’economia delle piattaforme, in Economia & Lavoro, 3/2021, pp. 57-80. 14| Vedi anche Moretti E., La Nuova Geografia del lavoro, Milano 2013.

14 Questo processo ad esempio si è molto affermato nella trasformazione in atto nel Distretto della Calzatura della Riviera del Brenta con l’entrata dei grandi brand della fashion francesi. In queste piattaforme territoriali sono in corso processi di ibridazione e di ricombinazione con dei “giocatori dominanti”. Sempre Aldo Bonomi in un recente articolo dal titolo emblematico “l’utopia possibile dei distretti sociali può battere la crisi”15 afferma che “seguendo i tracciati dell’economia, i distretti nel tempo si sono fatti filiera, generando medie imprese leader sino a evolversi in piattaforme produttive agganciate ai flussi della globalizzazione. Diventando, come capita alle parole di successo usate come grimaldello per capire e spiegare, il distretto è diventato spesso una parola polivalente in economia… sino ad arrivare a contaminare il marketing non solo della merce made in Italy, ma anche il territorio. I due cigni neri della pandemia e della guerra hanno fatto irrompere scenari geopolitici troppo grandi per un distretto, infatti si guardava e si guarda al PNRR senza retropia economica, ma ai grandi temi della digitalizzazione e della crisi ecologica ed energetica per innovare e cambiare”. Questi temi saranno trasversali anche nella definizione e identificazione delle nuove strategie industriali della Regione Veneto che ha supportato la configurazione ed istituzione delle nuove Reti di Innovazione Regionali. Sempre Aldo Bonomi, in Oltre le mura dell’impresa16, afferma che “già prima della pandemia nei distretti veneti era in atto un processo di trasformazione… a cavallo degli anni Duemila l’economia del Veneto ha vissuto diverse fasi: quella della metamorfosi, poi quella dell’evoluzione ed infine un processo di selezione di quel grande aggregato che si chiamava capitalismo molecolare. Dalla dimensione pulviscolare delle microimprese, negli ultimi vent’anni il Veneto ha giocato la partita della crescita dimensionale. Una tappa obbligata per stare da vincenti dentro alle filiere internazionali. Nel post 2008 c’è stata molta selezione che ha diviso le aziende tra quelle che riuscivano a connettersi con le filiere e quelle che chiudevano. Il periodo del Covid interviene ancora a ridisegnare le filiere, a rimodellarne le prossimità e le funzionalità”. L’interruzione fisica del mondo per molti mesi ha interrogato proprio sulla funzionalità di molte di queste filiere. Si pensi all’automotive, alle rivoluzioni che arriveranno su questa catena del valore: il modello è in cambiamento, non si ragionerà più solo in termini di imprese e distretti ma in termini di piattaforme territoriali. In Veneto abbiamo uno straordinario esempio di piattaforma territoriale (ad esempio quella della Pedemontana) che ha le dimensioni e le caratteristiche per competere nel mondo. I nuovi sistemi territoriali si formano grazie all’impulso delle imprese che escono dalla dimensione fisica delle “loro mura”. Un modello economico, sociale e abitativo, di innovazione, di coltivazione di saperi che si tiene assieme dal capannone fino all’Università. Nel mondo competono sistemi produttivi che poggiano su piattaforme connesse alle reti digitali evolute, dentro ai grandi sistemi viari, sfruttando le teorie della logistica avanzata per esempio. Il modello della piattaforma lega scuola, università, imprese, cultura, nuova rappresentanza in una visione comune del futuro. 15| Bonomi A., L’utopia possibile dei distretti sociali può battere la crisi, il Sole24Ore, 19 aprile 2022. 16| Bonomi A., Oltre le mura dell’impresa, DeriveApprodi, 2021; Bonomi A., L’utopia possibile dei distretti può battere la crisi, Il Sole 24Ore, 19 aprile 2022. 1.1.2 Le Filiere... innovative come “nuove piattaforme territoriali” 1.1.2.1 Le Filiere Produttive

15 Le relazioni di fornitura si consolidano inoltre come filiere che gestiscono cataloghi di alto valore aggiunto cognitivo per un ampio repertorio di imprese. Si ragiona in termini di filiere perché oggi un’impresa ha un sistema di fornitura per assemblare una componentistica complessa che inizia con le materie prime per finire alle tecnologie e ai servizi per l’uso fino alle strategie di riuso circolare. L’affermazione del modello circolare in economia è molto evocata da una narrazione che sembra ineludibile al fine di disaccoppiare la crescita economica dal consumo di materie prime e investendo sulla produttività delle risorse con un tasso di riutilizzo medio che ci vede primi in Europa (che ha una media del 12,8%) con il 21,6% pari con la Francia. Le imprese che operano all’interno di filiere sono inoltre più innovative, più aperte ai mercati stranieri e più ottimiste sul futuro di quelle che lavorano in maniera isolata. Il 41% nell’agosto del 2021 prevedeva di recuperare i livelli produttivi pre-Covid già entro l’anno, contro il 36% delle altre aziende. Una quota che sale al 45% per le imprese in filiera che hanno investito nelle tecnologie 4.0 contro il 35% delle altre digitalizzate. Innovazione ed export sono tra le leve strategiche su cui puntano per stare sul mercato. Il 62% delle imprese che lavorano insieme ha fatto investimenti per innovare (contro il 38% delle altre) ed il 22% esporta, con punte che arrivano al 30% nelle filiere 4.0 (contro il 24% delle altre digitalizzate). La collaborazione tra imprese che hanno attività interconnesse lungo tutta la catena del valore – dalla creazione siano alla distribuzione – di un bene o servizio – si rileva quindi un importante fattore di competitività per gli imprenditori, soprattutto se abbracciano il digitale avanzato.17 Le filiere innovative. Oggi la dinamica economica di una piattaforma territoriale come quella che corre tra Verona e Trieste, rileva il Centro Studi delle Camere di Commercio “Tagliacarne”, ha un livello di velocità che è molto condizionato dalle filiere che lo abitano. Le filiere innovative sono quelle che producono beni e servizi per le grandi transizioni: ambientale, digitale e demografica (trascurata quest’ultima dal mainstream e, invece, determinante anche per le altre due). Nel tempo ci siamo abituati a ragionare su due tipi di unità di analisi, l’azienda, ormai troppo riduttiva, e il distretto, ormai troppo cambiato. Ci si potrebbe chiedere se le filiere innovative possono anche cooperare all’evoluzione dell’ambiente produttivo speciale che Becattini considerava la caratteristica vitale dei distretti industriali del made in Italy, della manifattura di qualità. Di seguito interessante proporre alcuni esempi di filiere in cui l’innovazione permea l’intero processo: dalla concezione del prodotto, al suo sviluppo digitale e fisico, alla produzione e vendita con servizi collaterali. Una tra le filiere industriali ad alta complessità e innovazione è senza dubbio quella della manifattura e dei servizi collegati alla crocieristica che si configura esattamente come una “nuova piattaforma territoriale”. Una recente ricerca18 mette in evidenza la rilevante crescita e innovazione della filiera collegata alla crocieristica che va da Fincantieri ed a cascata su industria e servizi. La parte più rilevante ovviamente la fa Fincantieri, ma dietro al colosso triestino che nella sede di Marghera ha uno dei siti produttivi più importanti, stanno continuando a crescere le aziende della filiera del traffico crocieristico. Si tratta in particolare di venti top players, dodici con sede in Friuli Venezia Giulia e otto in Veneto, che in totale arrivano a fatturare circa 5 miliardi di Euro. A fare da guida è la trevigiana Somec (250,6 mil.) e dalla triestina Wartsila (250,2 mil.). Fatturati importanti frutto anche di operazioni di fusioni e acquisizioni, che nel triveneto hanno riguardato il terminal di Trieste e due operazioni che continuano la strada di consolidamento del settore “Sistemi ingegnerizzati di architetture navali e facciale civili” portate avanti da Somec Spa. 17| Centro Studi delle Camere di Commercio G. Tagliacarne, L’effetto filiera fa bene alle imprese: il 41% fuori dalla crisi già quest’anno, 17 agosto 2021. 18| Adacta Advisory, Confindustria Vicenza, 2023. 1.1.2.2 La filiera della crocieristica: esempio di “nuova piattaforma integrata”

16 Nel Nordest oramai sono numerose le aziende in grado di completare una filiera che garantisce importanti fatturati, come dimostrano i risultati delle aziende top analizzate da Adacta. La regina è ovviamente Fincantieri con 3,9 miliardi di fatturato: l’azienda oggi è la protagonista indiscussa nella creazione e realizzazione di navi per i più importanti operatori del settore. Alle sue spalle Somec, con sede a San Vendemiano (Treviso) che è diventato il partner preferito dei più grandi cantieri e dei maggiori armatori di navi da crociera del mondo per la gestione del ciclo di vita completo di involucri vetrati e soluzioni di architettura navali, dai nuovi vari alla manutenzione fino ai progetti di refit. Altra realtà importante della filiera è il Gruppo Distribuzione Petroli (oltre 125 milioni di fatturato) con sede a Castelfranco Veneto che oggi serve oltre 60.000 clienti e vende circa 100.000 tonnellate di prodotti petroliferi per mezzo di otto depositi commerciali e un deposito fiscale e diversi uffici dislocati tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. A Porto Viro inoltre si trova il Cantiere Navale Visentin (70,5 milioni di fatturato) che è diventato un punto di riferimento del settore delle costruzioni navali e dà lavoro a 650 persone. Inoltre il gruppo veneziano Ligabue (67,6 milioni) è ormai uno storico player nel settore del Food Service e specializzato nei servizi per il mercato marittimo ed energetico, altre aziende della filiera sono collegate al business delle spedizioni e sempre con caratteristica manifatturiera degli arredamenti navali quali la veneziana Zago Spa (34,4 milioni). Nel campo delle acquisizioni sempre Somec si distingue per l’acquisto del 60% delle azioni di Blusteel, player specializzato in sistemi ingegnerizzati per facciate e l’acquisizione di Total Solution Interior, azienda specializzata nella progettazione e installazione di interni per navi e yacht (11 milioni). Ancora una volta è evidente la collocazione delle Grandi Imprese player in territori limitrofi ed invece la forte connotazione di entità imprenditoriali collegate alla manifattura in Veneto ed alcuni servizi molto specializzati.

17 Nell’attuale contesto si può considerare estremamente rilevante un ambito che è strategico, soprattutto a seguito delle tensioni geopolitiche: le tecnologie per l’energia da fonti rinnovabili (Fer). Queste non sono codificate in modo distinto, appartengono ad altri settori come meccanica, elettronica e elettrotecnica, e si caratterizzano per queste categorie di prodotto: convertitori, dispositivi fotosensibili, moltiplicatori di velocità, generatori eolici, parti di macchine, pompe di calore, turbine elettriche. È un ambito nel quale l’Italia è il sesto produttore mondiale e il secondo in Europa dopo la Germania, ad eccezione dell’eolico, in cui leader è la Danimarca. Vantiamo una media di export per 4,7 miliardi di euro, soprattutto per moltiplicatori di velocità e dispositivi fotosensibili. Un aspetto di notevole interesse, anche per le caratteristiche del nostro modello industriale, che basa la sua flessibilità sull’integrazione tra settori diversificati e categorie di aziende di tutte le dimensioni, è il fatto che oltre alle aziende leader più grandi ci sono eccellenze in microimprese – e in studi ingegneristici, che si sono dimostrate competitive nonostante il dominio asiatico. La dimensione non è dirimente rispetto alle prestazioni perché è un settore altamente innovativo, le microimprese crescono più delle grandi, mediamente del 13% contro il 6% e detengono la maggioranza dei brevetti. Le province ai primi cinque posti per presenza di imprese della filiera delle rinnovabili sono tutte venete con la sola eccezione del primo posto che spetta a Milano: sono Vicenza con il 7,5%, Padova 6,5%, Verona 5,3% e Treviso 4,8%. Insieme fanno un quarto della capacità produttiva dell’intero Paese.19 Quelli dell’idrogeno. Un altro punto di forza è la filiera nella filiera costituito dall’idrogeno20 in quanto è evidente la rilevanza geopolitica che ha assunto il problema della dipendenza o autonomia energetica. L’idrogeno ha diversi ambiti di applicazione, innanzitutto come vettore energetico nelle industrie più energivore dell’acciaio, della carta e della ceramica. Si tratta però di sostituire l’attuale produzione di idrogeno per utilizzo a fini industriali (idrogeno grigio, realizzato a partire da gas metano o da gassificazione di petrolio o carbone), con produzioni più eco-sostenibili. Sono tante le possibilità messe in campo in questi anni, dall’impiego di tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 abbinate al processo standard di generazione di idrogeno grigio da combustibili fossili (per realizzare il cosiddetto idrogeno blu o low carbon), all’utilizzo della pirolisi del gas metano (per l’idrogeno turchese), fino all’elettrolisi attivata da FER (alimentando elettrolizzatori21 con elettricità prodotta a partire da fonti rinnovabili) per arrivare al vero e proprio idrogeno verde. Bisogna però tenere presente che si tratta di processi comunque molto energivori e, pertanto, considerati ancora ambiziosi, anche in termini di costi (il costo attuale dell’idrogeno verde si aggira sui 5 dollari al chilogrammo, circa tre volte il costo dell’idrogeno grigio). Nel caso della siderurgia, l’impiego dell’idrogeno potrebbe portare a un quasi totale azzeramento delle emissioni da altoforno. In particolare, si tratterebbe di sostituire l’attuale ciclo integrale da altoforno, alimentato con carbon coke, con una combinazione di reattori DRI (Direct Reduced Iron o preridotto, che permette la riduzione dei minerali ferrosi senza passare per la fusione22), alimentati a idrogeno, e successivo impiego di un forno elettrico, tipicamente usato nel ciclo di produzione dell’acciaio da rottami. 1.1.2.3 Le filiere dell’energia e l’idrogeno 19| Intesa San Paolo-Studi e Ricerche: Transizione energetica: la filiera delle tecnologie delle rinnovabili in Italia, Giugno 2021. 20| Prometeia, Intesa San Paolo, Analisi dei settori industriali, Maggio 2022. 21| L’elettrovalorizzatore è un macchinario che, alimentato da elettricità, attraverso elettrolisi può estrarre idrogeno dalla molecola dell’acqua, senza rilasciare emissioni climalteranti ma solo vapore. 22| Ad oggi, il preridotto utilizzato in Italia è di importazione estera. È di recente costituzione la società DRI Italia, controllata da Invitalia nell’ambito del piano di ambientalizzazione dell’Ilva di Taranto, con l’obiettivo di mantenere competitiva la nostra industria in un contesto di scarso rottame ferroso e prezzi elevati. Si punta a creare, per la prima volta in Italia, un impianto di produzione di preridotto per allinearci alle strategie degli altri paesi europei che guidano la transizione green.

18 Un processo più volte proposto per l’Ilva di Taranto, a corredo del piano ambientale in corso di attuazione; si stima, però, che sarebbero necessari più di 8GW di rinnovabili per riconvertire l’intero stabilimento a idrogeno verde23. Vi è poi un problema legato allo stoccaggio e al trasporto dell’idrogeno, un gas leggero e volatile che richiede di essere compresso a pressioni alte. Al momento la produzione può avvenire soltanto in-site. Il secondo ambito di applicazione dell’idrogeno è come feedstock o materia prima, ad esempio nella chimica di base, all’interno dei processi di produzione di ammoniaca e metanolo. Si tratta, quindi, di sostituire l’idrogeno prodotto dal metano con idrogeno verde o low carbon. La CATENA DEL VALORE DELL’IDROGENO VERDE è stata così rappresentata da Alfa Laval.24 Attualmente l’idrogeno è ancora una tecnologia a livello sperimentale, non del tutto testata in termini di sicurezza, di impatto ambientale ed il cui ambito normativo di riferimento è ancora in corso di definizione. Si contano però già diversi progetti pilota, quale l’Hydrogen Park di Marghera, che sono attesi aumentare anche alla luce degli stanziamenti previsti sia a livello europeo che nazionale. La metamorfosi. Tutto farebbe pensare che l’effetto distretto moltiplicato dalla potenza delle filiere innovative sia quasi inscritto nelle logiche naturali di evoluzione del sistema. La realtà è molto più problematica, ricca di chiaroscuri e di colli di bottiglia. Uno dei quali si riferisce al “capitale umano”. Infatti il Veneto non è solo esportatore di tecnologie, ma anche un conferitore netto di risorse umane all’estero. La costruzione di una relazione forte tra distretti tradizionali, o anche domanda delle famiglie, e una filiera innovativa come quella delle tecnologie per le energie rinnovabili, può avvenire solo se ci sono le persone, le competenze e le organizzazioni che la realizzano sui territori. Purtroppo questa situazione è replicabile anche per altre filiere innovative, non bastano i meccanismi spontanei, ci vuole una mappatura conoscitiva delle specializzazioni produttive presenti nella piattaforma territoriale del Nordest (almeno), con un luogo in cui le informazioni siano selezionate e organizzate da una governance che sia in grado di far partecipare una “coralità sociale” di attori. Ancora una volta occorre scomodare il lessico di Becattini che aveva visto giusto assegnando alle relazioni sociali un compito fondamentale e primario nel conferire efficienza al funzionamento dei mercati. 23| Tagliabue et al, “Acciaio, cemento ed efficienza energetica passaggi chiave della decarbonizzazione, da “Ossigeno per la crescita” a cura di REF-E. 24| https://www.alfalaval.it/industrie/energia/soluzioni-sostenibili/soluzioni-sostenibili/energia-pulita/idrogeno-verde/.

19 25| Symbola, Filiere del Futuro, Geografia produttiva delle rinnovabili in Italia, Marzo 2023. Il fatto che oggi la digitalizzazione compenetri il funzionamento dei mercati, ha aumentato, non diminuito il valore della relazione sociale nella ricaduta dell’agire economico (marginalizzando il ruolo del fattore umano, molti piani partoriti a Bruxelles si incagliano, anche la legge 16 della Regione Veneto per la promozione delle comunità energetiche, non definendo responsabilità e competenze di persone specifiche). In relazione a questo filone delle “filiere innovative” ed in particolare quelle collegate all’energia, elementi significativi li troviamo anche nel rapporto di Symbola: Filiere del futuro – la geografia produttiva delle rinnovabili in Italia in cui si analizzano per la prima volta il numero di attori privati coinvolti nella filiera delle rinnovabili in Italia.25 Sono 21.738 le imprese censite attive o potenzialmente attive nella filiera distribuite su tutto il territorio nazionale con forti concentrazioni nel Lazio, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. La Lombardia in particolare con 3.778 imprese ed il 17,7% di quota percentuale è la regione con la maggiore presenza di imprese in Italia, seguita dal Lazio con 2.446 e una quota del 19,5%. Al terzo posto si colloca il Veneto con 1995 imprese pari al 9,3%, regione seguita dalla Campania (1.733, 8,1%) e quindi a brevissima distanza dall’Emilia Romagna (1.703, 8,0%). Queste cinque regioni costituiscono nell’insieme il 53,6% del totale delle imprese individuate. “C’è un’Italia che eccelle in molti segmenti della nuova economia sostenibile e il nostro Paese dà il meglio di sé quando incrocia i suoi cromosomi antichi, la sua identità con un modo tutto italiano di fare economia: che tiene insieme innovazione e tradizione, coesione sociale, nuove tecnologie e bellezza, capacità di parlare al mondo senza perdere legami con territori e comunità, flessibilità produttiva e competitività”. Sul versante specifico delle rinnovabili, se da un lato disponiamo per le filiere di dati su produzione e fabbisogni energetici, meno chiari sono i contorni del perimetro produttivo e la relativa numerosità delle imprese coinvolte nelle filiere del fotovoltaico, eolico, idroelettrico, solare termico, geotermico e bioenergie, le loro caratteristiche e la loro funzione. Importante riferito al contributo alla filiera in Veneto è quanto si riferisce alla manifattura di prodotti e macchinari collegati alle rinnovabili. Emerge Milano con 116 Imprese (4,8%) del totale nazionale) seguita a brevissima distanza da Brescia 108 (4,5%) e quindi Vicenza (101, 4,2%), Padova (84, 3,5%) e Treviso (79, 3,3%) a testimoniare come evidenziato dalla mappa di una concentrazione di attività in Lombardia e nelle aree del Triveneto. In particolare per le tre Provincie del Veneto si sottolinea la presenza di importanti “storici” distretti industriali della Meccanica, della Refrigerazione, dell’Elettrodomestico le cui competenze maturate negli anni e attualizzate con le nuove tecnologie e conoscenze sicuramente concorrono alla formazione e produzione dei valori evidenziati nella ricerca di Symbola.

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